Sapito in Polinesia: isole Marchesi (1) – Fatu-Hiva

…e sistemata la cambusa e rifornito di carburante, Sapito è partito dalle Galapagos – Puerto Ayora, sull’isola Santa Cruz, apprestandosi a percorrere le oltre tremila miglia che lo separavano dalle isole Marchesi, nella Polinesia Francese.
Dopo un giorno di motore verso sud, necessario per uscire quanto prima dalle calme equatoriali, abbiamo raggiunto un aliseo abbastanza costante ad una latitudine di circa 5* sud; la navigazione si è svolta regolarmente quasi solamente a vela, con ampio uso dello spi asimmetrico e parzialmente del gennaker, registrando medie di tutto rispetto.

La percorrenza media giornaliera è stata infatti di 142 miglia, con una punta massima di 167.
Velocità massima, registrata in planata sull’onda, sotto spi asimmetrico, 14,3 nodi, non male per una barca di soli 11,5 metri, carica come il Sapito, che in assetto di crociera pesa tra le 11,5 e le 12 tonnellate.

Da registrare durante tutta la crociera una notevole quantità di abboccate alle nostre esche a traina, con un record di tre catture di lampughe contemporaneamente. Vari anche i tonni ed i wahoo portati a bordo, per la delizia del cuoco e del suo equipaggio.

Molto emozionante l’avvistamento dell’isola di Fatu-Hiva dopo oltre 21 giorni di navigazione e 3020 miglia percorse, nonostante la poca visibilità causa un forte piovasco.

Addirittura commovente l’arrivo alla Baia delle Vergini, meta agognata di molti navigatori e punto di raccolta di coloro che hanno come noi appena attraversato il Pacifico.

La bellezza di questo posto ci ha immediatamente stregati, forse anche al di sopra delle nostre aspettative, con una natura che dire rigogliosa è dir poco ed una popolazione ospitale e amichevole come mai ci era capitato nella vita.
A Fatu-Hiva ci siamo riconciliati con una vita primordiale, immersa nella natura. Tutto trabocca di ritmi blandi e clima mite, e la gente che vi vive non deve far altro che approvvigionarsi gratuitamente nel grande emporio che l’isola rappresenta. Basta cogliere la frutta dagli alberi (se non addirittura da terra), andare a caccia dei maiali e delle capre selvatiche di cui l’isola è piena, o andare a pesca dei grandi pesci di cui il mare è ricolmo. Il tutto in un atmosfera di serenità ed amicizia che riporta ad una pace interiore ben difficile da ritrovare nella nostra pur amata Europa.
Per assaggiare le specialità locali basta individuare una qualche simpatica famiglia, che preparerà, in un forno scavato sottoterra, ricette molto semplici, ma succulente. Il tutto servito nella loro abitazione, senza alcun fronzolo.

Qui il tempo sembra essersi fermato, con la pratica del baratto ancora gradita ai locali, nonostante ci sia la sensazione ormai che il giocattolo sia sul punto di rompersi, con la forza prorompente che il dio denaro esercita anche sulle popolazioni meno succubi del consumismo.
Comunque la natura la fa da padrona, con la frutta che cadendo dagli alberi rischia di colpire chi dovesse passarvi sotto.
Oltre agli immancabili cocchi, qui spiccano gli incredibilmente grossi e dolci pompelmi, i limoni e le arance, i boschi di mango, gli alberi di papaya, guajava, carambola, frutto della passione, oltre ad una sequela di frutti a noi sconosciuti, ma non per questo meno saporiti.

È con grande dispiacere che ci siamo accomiatati da questa stupenda isoletta, ben consci del fatto che sarà molto improbabile un nostro ritorno qui, vista la notevole difficoltà di collegamento che caratterizza questo posto, mancando anche un aeroporto.
L’unica sarebbe tornarci in barca a vela, in un eventuale altro giro del mondo…

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