Sapito passa il Canale di Panama

…e dopo la rilassante parentesi di mare, sole, atolli e pesca alle San Blàs, Sapito ha diretto le prue verso Porto Bello prima, e successivamente Colon, porto panamense sul lato caraibico del canale di Panamà.
Interessante la costa dalle isole dei Kuna fino a Colon, con una lussureggiante foresta tropicale in cui spiccano le agghiaccianti grida delle scimmie urlatrici.
Passiamo qualche giorno all’ancora nella trafficatissima baia di Colon, iniziando le pratiche per il passaggio del canale.
Poi tre giorni al marina di Shelter Bay, dove ci raggiungono il pordenonese Aldo, quarantaquattrenne skipper, ed il pensionato milanese Renato, appassionato di pesca, che sostituiscono Maria Luisa, scesa alle San Blàs.

Ma torniamo al canale: le lunghe pratiche iniziano con una mail da inviare ad un ufficio preposto, che chiamiamo subito dopo per la conferma di avvenuta ricezione. Tutto ciò perché abbiamo scelto di non spendere i trecento/cinquecento dollari richiesti normalmente da un agente che si dovrebbe occupare dell’ intera procedura.
Otteniamo così un appuntamento con il misuratore del canale, che il giorno seguente dovrà controllare minuziosamente la nostra barca, e dare l’ok alla nostra pratica.
Oltre alle misure della barca, dobbiamo mostrare la cassa delle acque nere, i parabordi e le cime di ormeggio (necessarie in numero di quattro di almeno trentotto metri di lunghezza), oltre alla quantità di carburante.
Quando tutto risulta in ordine, riceviamo tutti i relativi moduli compilati e le istruzioni per recarci nell’unica banca dove poter effettuare il versamento di 1875 dollari, esclusivamente in contanti.
Effettuato il versamento, comprensivo anche di una cauzione di 890 dollari che ci verrà resa se non causeremo intralcio nell’attraversamento, potremo chiamare dopo diciotto ore l’ufficio che ci prenoterà il passaggio: e il primo di aprile, in barba agli scherzi ittici, sarà la volta del Sapito!
Ed il giorno designato ci prepariamo lasciando il marina ed andandoci ad ancorare ai “Flat”, in attesa che ci raggiunga il pilota del canale, che ci assisterà durante il tragitto. Prima delle diciotto partiamo assieme ad un altro catamarano sudafricano, a cui saremo affiancati e legati per passare le tre chiuse di Gatun, quelle che ci permetteranno di salire di circa trenta metri fino al lago omonimo. Passeremo le chiuse assieme ad una nave di Singapore, per poi accostarci ad una boa sul lago, dove trascorreremo la notte.

Il giorno successivo sveglia presto, con il secondo pilota che ci raggiunge per percorrere le ventisette miglia di lago che ci separano dalla prima chiusa, quella di Pedro Miguel.

Poi la discesa continua con le due chiuse di Miraflores, dove famiglie ed amici ci vedono attraverso la web cam, inviandoci vari saluti.

…e poi è oceano Pacifico.
Passiamo sotto al grande ponte de “Las Americas”…

…e ci andiamo ad ancorare nella baia de la “Playta”, dove rimarremo fino al ritorno di Luca in partenza per una veloce visita alla sua famiglia in Italia. Prossime mete le Galapagos, le Marchesi e le Tuamotu.
Arrivederci a presto!!!

Sapito ai Caraibi (6): Panamà – Isole San Blàs

…e dopo la lunga sosta nella bella città coloniale di Cartagena, Sapito, completati i rifornimenti e la cambusa, a fine febbraio ha diretto le prue verso le incantate isole San Blas, in quel di Panamà.
Partenza nel pieno della notte, così da poter arrivare nella serata successiva, dopo quasi duecento miglia.
Primo atterraggio a Cayo Holandès, bellissimo atollo corallino che subito ci incanta con i colori delle sue acque e con le sue bianchissime spiagge.

Il secondo giorno ci dobbiamo spostare all’isola di Porvenir, dalla parte opposta delle isole San Blàs, per poter effettuare l’entrata nel paese. Morale dobbiamo sborsare la non modica cifra di U$643 per le pratiche della barca e dell’equipaggio.
Il pomeriggio, mentre siamo lì ancorati, Luca si sente chiamare dalla spiaggia a pochi metri di distanza: si tratta degli amici Erminio, Rosy e Renato, lì di passaggio da un viaggio in Centramerica. Automatico l’invito a cena a bordo, con festeggiamenti per l’inatteso incontro.

Poi un periodo di poco meno di un mese di tranquille permanenze tra i vari atolli, da Cayo Coco Bandero a Cayo Holandès, da Cayo Chichime a Cayo Limòn, fino alle interessanti Robeson, sempre molto ridossati dalle varie isolette e barriere coralline.

Le giornate scorrono placide, con l’equipaggio rilassato, ma impegnato in grandi esplorazioni delle lagune e dei fondali,

alla ricerca di pesci e crostacei da consumare a pasto. Belle e frequenti le catture di barracuda, king fish, snapper, sia a traina che con il fucile, consumati poi in luculliane cene assieme agli equipaggi delle imbarcazioni con cui volta per volta si condivide l’ancoraggio.

E qui apriamo una parentesi per sottolineare la presenza in massa di barche italiane che hanno eletto queste splendide isole ed acque quali luogo ideale per svernare.
Ci sono così personaggi e barche che ogni anno costituiscono una vera e propria comunità galleggiante tra questi atolli: nomi quali Lorenzo, Simonetta, Spartaco, sono tra i più conosciuti da queste parti, a cui vanno ad aggiungersi quelli dei vari equipaggi che come noi passano periodi più o meno lunghi in zona.

Le isole San Blas, pur se appartenenti allo stato di Panamà, godono di una notevole indipendenza, riconosciuta dal governo centrale ai loro abitanti, gli indios Kuna Yala.
Questi vivono in capanne rudimentali e rifiutano gran parte delle comodità tipiche delle civiltà più evolute, vietando anche ai turisti normali attività quali la subacquea ed il kite surf, nel tentativo di preservare le loro tradizioni e costumi. C’è da dire che a detta di chi è passato di qua qualche anno fa il dio dollaro, onnipresente da queste parti, ha già causato notevoli cambiamenti, che probabilmente in pochi anni porteranno ad un totale stravolgimento delle usanze locali.
La società Kuna è organizzata rispettando una rigida cultura matriarcale. Le donne sono così chiamate ai compiti più faticosi, come d’altro canto in molti luoghi nel mondo. Esse si occupano della famiglia e di buona parte del suo sostentamento. Attività primaria è la produzione e la vendita delle Molas, una sorta di ricamo su tela, in alcuni casi molto elaborati e dai colori vivaci.

Comunque queste isole sono rimaste ancora veramente molto belle, sicuramente le più belle incontrate in questi mesi ai Caraibi. Nella speranza che i Kuna riescano nel miracolo di preservarle ancora per molto in queste condizioni, in un mondo che al contrario sta distruggendo senza sosta i pochi paradisi rimasti. Prossimo appuntamento con l’attraversamento del canale di Panamà. Ciao

Sapito ai Caraibi (5): Colombia

…e dopo il trittico di isole olandesi, Sapito, nel suo avvicinamento al Canale di Panama, che lo vedrà fra qualche tempo cambiare oceano, si è diretto verso la Colombia, con una navigazione in una zona molto impegnativa di quasi trecento miglia.
Partiti da Aruba in tarda mattinata, per poter contare su un arrivo a destinazione con la luce, l’equipaggio si è garantito una previsione meteo delle più favorevoli per l’area che si apprestava a percorrere.
Questa tratta infatti è considerata la più difficile ed impegnativa di tutto il giro del mondo, tanto da essere soprannominata la ” Capo Horn” dei Caraibi.
È il superamento della penisola de La Guajira il punto critico, causa una concomitanza di fattori quali i fondali poco profondi sottocosta, e soprattutto una forte accelerazione dell’aliseo, che portano gli equipaggi ad impegnative prove con onde di altezza molto sopra la media e spesso frangenti e venti molto forti.
Al Sapito è andata piuttosto bene, a conferma della validità delle previsioni utilizzate.
Non sono comunque mancati momenti impegnativi, con venti che all’arrivo a Santa Marta, doppiando Cabo de la Aguja, hanno toccato e superato i quaranta nodi ed onde molto incrociate, costantemente sopra i due metri e mezzo, con punte di oltre tre metri e mezzo.
Quasi due giorni di poco riposo, che hanno messo a dura prova oltre all’equipaggio anche le attrezzature del catamarano, registrando la rottura delle due stecche più alte della randa.
Alla fine tre giorni di meritato riposo al Marina di Santa Marta, seguiti poi da nuovi preparativi e riparazioni per le tappe successive.

Santa Marta si è rivelata un luogo poco organizzato per chi vi arriva in barca a vela, senza praticamente la possibilità di reperire qualsiasi pezzo di ricambio specifico. La città è graziosa e abbastanza sicura, con buone possibilità di far cambusa.
Nota costante il clima secco e molto ventilato, con rari momenti di calma di vento e con raffiche spesso violente, anche oltre i cinquanta nodi, soprattutto durante la notte. Dopo Santa Marta Sapito ha rivolto le sue prue verso la ben più nota Cartagena.
La navigazione ha visto momenti molto concitati in corrispondenza della foce del Rio Magdalena, di fronte alla città di Barranquilla. Nonostante si fosse scelta una rotta abbastanza lontana dalla foce, giunti nella sua prossimità abbiamo dovuto deviare verso la costa causa un improvviso ostacolo rappresentato da un’insidiosissima rete derivante (a pelo d’acqua) di cui non si vedeva la fine. Siamo così incappati in onde frangenti altissime (4/5 metri) dovute al basso fondale, che ci hanno sballottato in maniera furiosa. Per fortuna la barca è dotata di una incredibile stabilità che ci ha tratto d’impaccio.
La mancanza di foto testimonia la difficoltà incontrata, che non permetteva distrazioni.
Poi la navigazione è continuata normalmente, fino all’arrivo ad orario molto tardo (dopo le due di notte) all’ancoraggio nella grandissima laguna di Cartagena, di fronte al club nautico.
La città alla luce del sole ha mostrato subito varie sfaccettature molto distinte: all’affascinante Cartagena coloniale

si contrappone una città fin troppo moderna, con uno skyline da grande metropoli piena di alte torri e palazzoni,

che troppo stridono con la città dai quartieri poveri e dalla vita dura, con gente che deve sbarcare il lunario con stipendi minimi di trecento euro al mese ed un costo della vita non dei più bassi.

Ed ora, dopo la Colombia, ci aspetta Panama, con le sue incantate isole San Blas, ed il canale, preludio di un nuovo oceano e di nuove avventure. Ciao dal Sapito

Sapito ai Caraibi (4b): isole ABC, Aruba, Bonaire, Curaçao

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> …continua
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> Molto pittoresco anche il vecchio mercato ora adibito a ristorante, in cui si possono assaggiare con poca spesa le specialità della cucina creola locale.

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> Meno interessante, se non addirittura brutta, la visone del porto con dietro le ciminiere della raffineria di petrolio.
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> Passata Curaçao, ci siamo diretti verso Aruba, non fosse altro perché posta sulla rotta verso la Colombia, nostra successiva meta.
> A parte la cattura di un tonnetto di circa tre chili nel tragitto Curaçao – Aruba,

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> qui le delusioni non sono mancate: già ben prima di arrivare all’isola spiccavano le enormi torri di raffinazione dell’immenso impianto petrolifero.
> Questo scempio copre quasi metà costa a sud, con un impatto visivo e olfattivo devastanti.

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> Poi si fa appena a tempo a riprendersi che si ripiomba in un altro incubo: Oranjestad, la capitale dell’isola, costruita per accogliere le migliaia di croceristi, prevalentemente americani, che ogni giorno giungono a bordo di mega navi alla ricerca di divertimenti e di shopping di lusso in questa asettica cittadina, porto franco, con negozi da nababbi degni delle più note località alla moda.

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> A questo aggiungete che per espletare le pratiche doganali e di immigrazione sia richiesto di ricorrere ad un agente e la frittata è fatta: noi siamo rimasti per due giorni nella clandestinità, per evitare spese inutili ed assurde.
> Notate la prossima immagine colta a testimonianza della pochezza di questo luogo: è una delle pochissime cose fotografabili.

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> La prossima foto invece sembra dare un segno di speranza nel piattume totale incontrato. Questa bella pianta si trovava infatti a pochi metri dalla nostra barca all’ormeggio. Peccato che fossimo anche a pochissima distanza dalla rotta di atterraggio dell’aeroporto, con un continuo rumore di aerei fino a notte inoltrata.

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> Insomma, proprio non ci è piaciuta questa meta del consumismo più sfrenato e del totale disprezzo della natura. >
> Sapito vi da appuntamento alla prossima destinazione, la Colombia. > Ciao

Sapito ai Caraibi (4a): isole ABC, Aruba, Bonaire, Curaçao

…e dopo le belle Las Aves, ultimo baluardo ad ovest del Venezuela, Sapito si è diretto verso Bonaire, prima delle tre isole sotto l’influenza olandese.
In realtà questa è una vera e propria provincia olandese, come se si fosse a Delft od a Utrecht, con una piccola particolarità, però: qui di Euro non vogliono neanche sentirne parlare; hanno addirittura ripudiato la loro vecchia moneta, il fiorino antillese. Qui si paga solo con US Dollar!!!
Arrivando in barca da est si costeggia un’ampia zona pianeggiante, la parte sud dell’isola, dominata da grandi saline e stagni, regno del simbolo dell’isola, i fenicotteri rosa (che in realtà abbiamo visto in pochi esemplari, oltretutto piuttosto da distante).

Subito si nota che l’isola non è stata molto deturpata da costruzioni residenziali ed albergoni, anzi ci sono ampie zone non costruite.

La zona nord è invece collinosa ed arida, dominata dalla presenza di cactacee.

Nel complesso si tratta di un posto molto naturale, sicuramente la più preservata delle tre isole olandesi visitate.
Interessante la possibilità di effettuare autonomamente immersioni subacquee con gran facilità, sia dalla propria barca, che da terra. Tutto è infatti predisposto a questo fine.
L’ancoraggio è infatti tassativamente vietato, così da non deturpare i fondali, e lungo la costa sono segnalati tutti i siti di immersione e snorkeling.
Noi eravamo ormeggiati ad un gavitello di fronte alla piccola capitale, Kralendijk,

e sotto la nostra barca avevamo pesci dei più disparati, tra cui carangidi, bonefish ed anche un grosso barracuda di una decina di chili che si godeva la nostra grande ombra, il tutto a pochi metri dalla città e dalle automobili.
La foto qui sotto vi fa notare le microscopiche casette di circa quattro metri quadrati usate dagli schiavi all’epoca della tratta.

Lasciata Bonaire ci siamo diretti ancora più ad ovest verso Curaçao, per la quale non nutrivamo grandi aspettative, visti i non eccezionali commenti che avevamo raccolto. Ed invece quest’isola ci ha positivamente colpiti per una sua spiccata personalità, se non proprio per la sua naturalezza.
Primo impatto molto piacevole l’abbiamo avuto a Klein Curaçao, piccola isoletta a sud di quella principale, dove abbiamo passato la prima notte in zona. L’ancoraggio in solitario si è rivelato poco protetto, ma il mare ed il luogo meritavano un po’ di sofferenza.

Dopo ci siamo diretti a Spanish Water, unico vero ancoraggio di Curaçao, una serie di fiordi e baie molto protetti ed ospitali, anche se un po’ scomodi per la lontananza dalla capitale, Willemstad.
Qui i colori ed i profumi tipici dei Caraibi hanno trovato un giusto equilibrio con i gusti molto più nordici dell’Olanda. Ne esce uno strano ma affascinante cocktail che non possiamo non definire piacevole.

Espletate le fastidiose pratiche per entrare nel paese, che ricordiamo è autonomo anche se molto legato ai Paesi Bassi, ci siamo immersi nelle calde atmosfere della città.
In queste isole si parla uno strano mix di spagnolo, portoghese, francese ed olandese, chiamato Papiamento, ma in realtà tutti parlano anche lo spagnolo, e l’olandese e molti conoscono l’inglese.
Caratteristico il mercato galleggiante di frutta, verdura e pesce, gestito per lo più da venezuelani trapiantati.

Bello inoltre il ponte su barche di fine ‘800, che ha particolarità di aprirsi e spostarsi autonomamente, in quanto dotato di motori e timoni propri.

continua…